Le sanzioni USA tra politica e numeri
Negli ultimi 10 anni le secondary sanctions, imposte dagli Stati Uniti, sono state identificate come uno strumento critico e talvolta controverso, utilizzato al fine di consentire agli U.S.A. di incrementare l’efficacia delle primary sanctions. Le “primary sanctions” hanno come obiettivo le entità e gli individui coinvolti in attività collegate con gli Stati Uniti e che…
Dall’altro lato le “secondary sanctions”, di portata più ampia, riguardano attività commerciali che non hanno legami diretti con gli U.S.A. e che si configurerebbero dunque come legali secondo le giurisdizioni delle controparti coinvolte. Mentre i soggetti e le entità U.S. devono aderire ai programmi relativi alle primary sanctions come parte integrante della loro legge di riferimento in relazione ai potenziali crimini sia di natura civile che penale, le secondary sanctions colpiscono i soggetti non U.S. ponendoli di fronte ad una scelta: intraprendere attività commerciale con gli Stati Uniti o con i soggetti sanzionati, ma non con entrambi. Considerato il potenziale e l’ampiezza del mercato americano ed il ruolo del dollaro americano nei flussi finanziari mondiali (ricordiamo quanto imposto alla SWIFT dopo l’11 settembre), le secondary sanctions forniscono a Washington la possibilità di esercitare un enorme influenza sulle entità straniere poiché la minaccia di un isolamento dal mercato finanziario e più in generale dall’economica degli Stati Uniti d’America supera quasi sempre il valore del commercio con gli Stati sanzionati. Un esempio di questo tipo è l’utilizzo significativo da parte del governo U.S. delle secondary sanctions nei confronti dell’Iran a partire dal 2010; a decorrere da tale data, sia il ramo esecutivo che il Congresso degli Stati Uniti, hanno dimostrato una sempre più crescente volontà di estendere le sanzioni secondarie a persone ed entità appartenenti ad altre giurisdizioni tra cui: Cina, Russia, Corea del Nord e Siria.
La carta d’identità delle sanzioni
Data la loro portata e la loro influenza sui mercati globali, le secondary sanctions, sono spesso state criticate nei paesi al di fuori degli Stati Uniti poiché, intrinsecamente rappresentanti l’applicazione extraterritoriale del diritto statunitense. Poiché gli Stati Uniti continueranno ad imporre secondary sanctions unitamente alle primary sanctions, per sostenere i propri obiettivi di politica estera e sicurezza nazionale
(analogamente ma con molto
meno vigore fanno le decisioni PESC della UE) si cercherà di seguito di chiarire la differenza tra primary sanctions e secondary sanctions analizzando la prospettiva dietro l’applicazione delle secondary sanctions come strumento di politica estera. Comprendere la differenza tra le primary e le secondary sanctions è la chiave per analizzare l’ampiezza e la diversità della politica sanzionatoria americana. In accordo con le primary sanctions, il governo U.S.A. limita gli individui e le entità U.S. nell’intrattenere rapporti commerciali ed economici con specifiche entità estere (intese sia come persone fisiche che come entità giuridiche), così come limita le transazioni di soggetti ed entità non US che hanno un collegamento con gli Stati Uniti. L’OFAC (Office of Foreign Asset Control) del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti applica le primary sanctions attraverso atti sanzionatori sia civili che penali, in alcuni casi, in sinergia con il dipartimento di giustizia.
Capire le secondary sanctions
Contemporaneamente ma in base a differente presupposto, l’OFAC applica anche le secondary sanctions a soggetti ed entità non U.S. che mancano di un legame diretto con gli Stati Uniti. Dopo aver valutato e constatato che il soggetto non U.S. è stato coinvolto in attività individuabili all’interno del perimetro delle secondary sanctions, come ad esempio, partecipare ad una transazione con individui inclusi nell’OFAC Specially Designated Nationals (SDN) List, il dipartimento di Stato o il Dipartimento del Tesoro selezioneranno una o più restrizioni di varia gravità e profondità da applicare ed imporre al soggetto o all’entità non U.S.
Queste restrizioni possono includere misure come il rifiuto di rilasciare licenze di esportazione, se richieste, da parte del Governo U.S., limitazioni su prestiti e leasing da società finanziarie statunitensi e, nei casi più gravi, possono includere la designazione della persona o dell’entità straniera come SDN.
L’impronta di maggior rilevanza nell’impiego delle secondary sanctions è il fatto che piuttosto che vedere la loro applicazione tramite sanzioni civili e/o penali, le secondary sanctions si basano sulla capacità del governo degli Stati Uniti di sfruttare il dominio del sistema finanziario U.S. per costringere le persone e le entità straniere a rinunciare a transazioni, altrimenti legali, con soggetti ed entità sanzionate dal Governo americano. Se da un lato, diversi programmi sanzionatori specifici per paese includono delle secondary sanctions, il solo Iran contiene poco più del 68% di soggetti ed entità sanzionate appartenenti alla lista SDNs. La Nord Korea rappresenta la porzione maggiore di soggetti direttamente sanzionati (primary sanctions),
nella misura del 22% a causa dell’implementazione del North Korea Sanctions and Policy Enhancement Act (NKSPEA), del Countering America’s Adversaries Through Sanctions Act (CAATSA) e del National Defense Authorization Act (NDAA) nel 2020.
Cina e Russia rivestono un ruolo statisticamente minore che si esprime in pochi punti percentuali dovuti alla violazione di programmi sanzionatori indiretti ma esiste un intima meccanica dalla lungimirante e controversa gestione che spiega questo dato; a differenza di Iran e Corea del Nord (escluso il settore energetico) la vastità e l’elevata integrazione internazionale delle economie cinesi e russe con quella americana possono dissuadere gli Stati Uniti dal sanzionarle eccessivamente, soprattutto per quanto riguarda le secondary sanctions.
L’Iran, il JCPOA ed il rapporto controverso con la UE
Sebbene le secondary sanctions esistano da oltre due decenni, il governo degli Stati Uniti le ha attuate su base relativamente infrequente prima dell’amministrazione dell’ex presidente Donald Trump. L’Iran and Libya Sanctions Act del 1996, in seguito ribattezzato Iran Sanctions Act (ISA), è stato un primo esempio di un’autorità di un paese che impone, con effetto extraterritoriale, secondary sanctions in relazione agli investimenti nel settore energetico iraniano.
Il Governo degli Stati Uniti rinunciò tuttavia all’applicazione delle sanzioni in relazione a queste presunte violazioni fino all’attuazione del Comprehensive Iran Sanctions, Accountability and Divestment Act (CISADA) nel 2010, che ha segnato l’inizio delle sanzioni secondarie come strumento attivo.
L’emanazione del CISADA è stata una pietra miliare nel regime di sanzioni secondarie nei confronti dell’Iran poiché ha ampliato la gamma di attività industriali del settore energetico soggette alle secondary sanctions derivanti dall’ISA (ad esempio le importazioni UE di petrolio raffinato dall’Iran). Lo stesso programma ha inoltre autorizzato l’emanazione di secondary sanctions nei confronti di banche iraniane designate e altre entità implicate nella proliferazione delle armi di distruzione di massa e nel terrorismo, dimostrando l’ampiezza di questo nuovo programma e portando a un aumento dell’applicazione delle secondary sanctions.
In risposta alla crescente preoccupazione per il programma nucleare iraniano, il Dipartimento di Stato sotto l’amministrazione dell’ex presidente Barack Obama ha applicato per la prima volta sanzioni secondarie ISA/ CISADA nel 2010 alla Naftiran Intertrade Company, una sussidiaria con sede in Svizzera della National Iranian Oil Company, e alla Bielorussia in riferimento Belarusneft nel 2011 (la più grande rete di stazioni di rifornimento del paese). Tuttavia, queste società erano già soggette a primary sanctions a causa delle loro relazioni con i governi iraniano e bielorusso. Il primo utilizzo di secondary sanctions su entità non già designate dalle autorità per le primary sanctions si è verificato nel 2011 su sette società, tra cui la venezuelana Petróleos de Venezuela, S.A. (PdVSA), per aver condotto attività vietate nell’ambito del settore energetico iraniano.
Le Sanzioni e le designazioni in Afghanistan
La maggior parte delle sanzioni statunitensi relative all’Afghanistan riguarda attività di contrasto di finanziamento del terrorismo a beneficio di SDGTs (Specially Designated Global Terrorist) come i talebani, al Qaeda, lo Stato islamico e altre organizzazioni terroristiche. Ciò sottolinea la presenza e la capillarità di diffusione del terrorismo nella regione e la sua connessione con altri crimini transnazionali che finanziano le sue operazioni, in particolare il traffico di droga.
Sebbene il Tesoro abbia designato molti affiliati e militanti associati alla rete di Haqqani localizzata in Pakistan, l’organizzazione stessa non è stata sanzionata fino a settembre 2012 per il suo coinvolgimento in attività terroristiche in Afghanistan e Pakistan collegate ai talebani e ad al Qaeda. Un mese dopo tale designazione, l’UNSC (United Nation Security Council) ha affermato che la rete di Haqqani ha partecipato al “finanziamento, pianificazione, facilitazione, preparazione o perpetrazione di atti o attività” associati ai talebani, il che significava una coesione tra Stati Uniti e Nazioni Unite nell’approccio al tema sanzionatorio e alla gestione del rischio legato all’Afghanistan. Dal 2012 al 2018 passando attraverso due amministrazioni presidenziali, il Tesoro (OFAC) ha concentrato le proprie attività al fine di individuare e sanzionare i “facilitatori finanziari” della rete di Haqqani, compresi gli operatori del sistema di
trasferimento di denaro definito come hawala. Poiché la maggior parte delle sanzioni relative all’Afghanistan coinvolge Autorità ed Agenzie che cooperano sul contrasto al finanziamento al terrorismo, il governo degli Stati Uniti ha compiuto diversi passi avanti nel rafforzare il suo approccio economico alla lotta al terrorismo. Prendendo atto del successo dell’ATFC, il governo degli Stati Uniti ha cercato di migliorare ulteriormente i suoi sforzi di contrasto al finanziamento al terrorismo con un ulteriore sviluppo operativo e di cooperazione congiunta. Nel 2017, l’amministrazione Trump, ha istituito un’attività congiunta in ambito antiterroristico con il governo dell’Arabia Saudita chiamato Terrorist Financing Targeting Center (TFTC) per sfruttare gli strumenti economici esistenti tra Washington, Riyadh e altri partner nel Golfo per contrastare il finanziamento del terrorismo. Da allora, la TFTC ha emesso cinque serie di designazioni contro più di 60 individui ed entità terroristiche globali, inclusi i talebani, nonché lo Stato islamico, al Qaeda, Hezbollah e il Corpo delle guardie rivoluzionarie islamiche dell’Iran. Ciò ha contribuito all’aumento, di sei volte, delle designazioni relative all’Afghanistan tra il 2017 (3 designazioni) e il 2018 (18 designazioni).
Rispetto all’amministrazione Obama, l’amministrazione Trump ha imposto molte meno sanzioni contro obiettivi legati ai talebani: 23 rispetto alle 103 dell’amministrazione Obama. Questo è probabilmente il risultato dei negoziati di pace iniziati nel 2018 e culminati nell’accordo di Doha del 2020 tra gli Stati Uniti ed i talebani. Mentre il governo degli Stati Uniti non ha acconsentito alla richiesta dei talebani di un’abolizione immediata delle sanzioni, il governo degli Stati Uniti si è astenuto dall’emettere nuove designazioni a seguito dell’accordo come forma di rafforzamento della fiducia con i talebani per futuri negoziati.
All’interno dell’accordo di Doha è stato discusso inoltre dell’eventuale ritiro completo delle forze statunitensi dall’Afghanistan. Un punto rilevante è stato inoltre
quello relativo alla volontà di dar inizio ai negoziati intra- afghani; a tal proposito gli Stati Uniti avrebbero avviato una revisione amministrativa delle attuali sanzioni statunitensi e della “Rewards for Justice” (https:// rewardsforjustice.net/english/) del Dipartimento di Stato nei confronti dei membri dei talebani e della rete di Haqqani con l’obiettivo di revocare, almeno in parte, le designazioni presenti. Quest’ultimo si riferisce a un programma del governo degli Stati Uniti per fornire un risarcimento o indennizzo finanziario alle persone in cambio di determinate informazioni sui leader ricercati dei talebani e della rete di Haqqani. Tuttavia, data la conquista dell’Afghanistan da parte dei talebani e la loro completa incapacità di negoziare l’instaurarsi di un vero e proprio processo politico intra-afghano e un accordo di pace con i leader afghani, non è chiaro se gli Stati Uniti procederanno con questa revisione.
Ma chi sono i Talebani?
Un problema generale nella creazione di un’efficace strategia di sanzioni da parte degli Stati Uniti (e non solo) è che gli USA devono ancora definire completamente quali individui ed entità sono considerati “i Talebani” e quindi designati dalle autorità sanzionatorie esistenti ed appartenenti alla potenza economica americana.
Questa domanda, la cui risposta resta tutt’oggi in sospeso, ha complicato il rispetto delle sanzioni e gli sforzi di applicazione delle stesse per le istituzioni finanziarie statunitensi e straniere, i governi, le organizzazioni di aiuto umanitario e il settore privato che operano in Afghanistan. Mentre la necessità di definire i talebani era meno pressante quando i talebani operavano come un gruppo di insorti definibile come un governo ombra in Afghanistan, questa mancanza di definizione ora solleva difficili questioni politiche e di conformità nell’applicazione di tutte le decisioni di politica estera dei vari paesi soprattutto Stati Uniti d’America; quali entità possono o meno essere considerate parte del Talebani
dopo la caduta di Kabul nell’agosto 2021?La preoccupazione più immediata è se considerare o meno la Da Afghanistan Bank, la banca centrale dell’Afghanistan, che detiene conti bancari negli Stati Uniti, incluso un conto presso la Federal Reserve Bank di New York, come entità controllata dai talebani. Inoltre, i talebani, ora apparentemente controllano 3 delle 12 banche afgane (Pashtany Bank, Bank-e-Mellie Afghan e New Kabul Bank) in conseguenza del fatto che sono istituzioni finanziarie di proprietà statale, il che probabilmente limita la capacità delle organizzazioni statunitensi e delle entità straniere ad accedere al sistema finanziario degli Stati Uniti, compreso l’utilizzo del dollaro USA, per condurre transazioni o trattare con queste banche afgane in assenza di licenze o di altri mezzi eccezionali.
Un altro fattore di complicazione è che l’affiliazione talebana manca di informazioni pubbliche comuni come identificativi specifici o indirizzi reali e confermati, aggiungendo difficoltà ai processi standard di conformità e applicazione delle restrizioni in relazione alla reale identità accertata ed accertabile di tali soggetti rispetto all’organizzazione talebana. La decisione di espandere o contrarre la definizione di “talebani” ha implicazioni reali, urgenti e contingenti sia per i sistemi bancari afghani, a cui si accede tramite il libero mercato degli strumenti finanziari, sia per il sistema di trasferimento di denaro hawala sia per tutte le controparti afghane coinvolte nel business del libero mercato lecito sia per gli sforzi umanitari degli Stati Uniti d’America.
Sostegno Umanitario
L’impatto delle sanzioni finanziarie internazionali sul flusso e la distribuzione di fondi e risorse per cibo, medicine e altri aiuti umanitari in Afghanistan solleva notevoli preoccupazioni umanitarie. Come in altri paesi sanzionati, queste restrizioni possono amplificare altri rischi, scoraggiando le banche dall’agevolare queste transazioni. Finora, il Tesoro (OFAC) ha adottato due approcci per consentire l’assistenza umanitaria all’Afghanistan senza passare direttamente dai talebani. In primo luogo, il Tesoro ha emesso all’inizio di settembre licenze specifiche non pubbliche che “autorizzano il governo degli Stati Uniti e i suoi appaltatori a sostenere l’assistenza umanitaria alle persone in Afghanistan,
compresa la consegna di cibo e medicine”. In secondo luogo, il 24 settembre 2021 il Tesoro (OFAC) ha emesso licenze generali pubbliche più estese e, soprattutto, pubbliche, per l’assistenza umanitaria e le attività correlate.
Sebbene le sanzioni statunitensi continueranno a vietare la maggior parte delle transazioni finanziarie che coinvolgono i talebani o la rete di Haqqani, queste licenze generali consentiranno transazioni “allo scopo di effettuare il pagamento di tasse, diritti o dazi all’importazione, o l’acquisto o la ricezione di permessi, licenze o servizi di pubblica utilità”. L’Office of Foreign Assets Control ha pubblicato una FAQ associata al rilascio di queste licenze generali, per aiutare a spiegare queste ampie prospettive in difesa dei diritti umanitari e la legalità dell’emissione di aiuti umanitari all’Afghanistan all’interno di un contesto sanzionatorio contro i talebani e la rete di Haqqani.
Sebbene le varie licenze rappresentino un passo in avanti, possono sorgere comunque domande sull’esatto ambito e scopo delle restrizioni del governo degli Stati Uniti (soprattutto ambito) che impediscono il coinvolgimento delle autorità talebane nella maggior parte, ma non in tutte, delle transazioni finanziarie nel paese. Di
conseguenza, ciò può ancora inibire la capacità dei gruppi di aiuto umanitario di fornire servizi alle popolazioni più vulnerabili e lasciare domande senza risposta compresa quella sull’ammissibilità di transazioni finanziarie o accordi per l’assistenza allo sviluppo e crescita del paese o al sostegno per le imprese private. La creazione di un programma sanzionatorio specifico per l’Afghanistan separato dai programmi sanzionatori esistenti potrebbe concedere al Tesoro potere finanziario molto più unilaterale, ma il governo degli Stati Uniti potrebbe essere in grado di raggiungere obiettivi simili attraverso licenze generali più solide e una comunicazione più chiara nelle definizioni e nei divieti, in particolare per quanto riguarda gli aiuti umanitari. Tuttavia, mentre le licenze generali per gli aiuti umanitari possono risolvere alcune difficoltà logistiche nella fornitura di servizi, nei pagamenti e nella fornitura di aiuti necessari in Afghanistan, la politica e le scelte economiche dei talebani decideranno in ultimo la direzione dell’attuale crisi umanitaria nel paese.
Inoltre, l’amministrazione Obama ha imposto sanzioni secondarie a 25 entità coinvolte in transazioni con enti petrolchimici, marittimi e bancari iraniani sanzionati. Tuttavia, in seguito all’adozione del JCPOA nel 2015, gli Stati Uniti hanno revocato la maggior parte delle sanzioni secondarie contro l’Iran e non hanno applicato ulteriori secondary sanctions a Teheran per il resto dell’amministrazione Obama, il che ha consentito a persone non statunitensi di riprendere determinate attività economiche con i loro partner iraniani senza timore delle sanzioni statunitensi. La posizione del governo degli Stati Uniti sull’Iran è cambiata in modo significativo dopo che l’amministrazione Trump si è ritirata unilateralmente dal JCPOA nel 2018 e non è riuscita a ottenere il sostegno internazionale per la sua campagna di “massima pressione” contro Teheran.
Sotto l’amministrazione Trump, il governo degli Stati Uniti ha applicato secondary sanctions unilaterali all’Iran in sostituzione del coordinamento sulle sanzioni multilaterali con la comunità internazionale, conseguenza derivante dalle obiezioni dell’Europa e delle Nazioni Unite al ritiro degli Stati Uniti dal JCPOA. Le secondary sanctions alle imprese estere sono aumentate in modo esponenziale, passando da 2 nel 2018 a 13 nel 2019 e raggiungendo un picco di 78 nel 2020. Alla fine dell’amministrazione Trump, il totale era di 104. L’ordine esecutivo iniziale che implementava il ritiro dal JCPOA ha reimposto le secondary sanctions sui settori energetico, petrolifero, petrolchimico, navale e bancario iraniano ed è stato seguito da ulteriori ordini esecutivi per tutto il 2019 e il 2020 che hanno esteso le secondary sanctions alle transazioni con il settore iraniano dei metalli e successivamente con i settori delle costruzioni, minerario, manifatturiero e tessile.
La natura extraterritoriale delle secondary sanctions ha suscitato critiche da parte degli alleati europei, che si sono pronunciate dopo il ritiro degli Stati Uniti dal JCPOA, quando le politiche di sanzioni dell’U.E. e degli Stati Uniti contro l’Iran divergevano drasticamente. Nonostante questa differenza, sono state applicate pochissime secondary sanctions alle aziende europee a causa dell’elevato livello di compliance da parte delle stesse; il motivo? l’accesso ai sistemi bancari e più in generale al dollaro degli Stati Uniti era fondamentale per le loro operazioni. Inoltre, molte banche europee mantengono operatività prettamente localizzate sul territorio degli Stati Uniti, come le filiali a New York City, che rientrano direttamente nella giurisdizione degli Stati Uniti e quindi sono soggette alle leggi statunitensi. Insieme, questi fattori portano le istituzioni finanziarie europee a conformarsi alle sanzioni statunitensi,
indipendentemente dalle politiche dei loro governi. L’alto livello di conformità da parte delle istituzioni finanziarie europee nei confronti delle normative statunitensi significa un aumento della difficoltà (se non impossibilità?) per le aziende europee di fare affari con l’Iran in quanto risulta molto difficile individuare una banca che gestisca le transazioni con tale paese. Mentre l’azione dell’esecutivo U.S. contro le imprese europee è diventata più rara poiché le secondary sanctions hanno avuto l’effetto previsto di disincentivare le transazioni con entità designate e quindi colpite dalle primary sanctions, la natura extraterritoriale del programma delle secondary sanctions degli Stati Uniti rimane, per la U.E., controversa.
Una decisione presidenziale?
Le sanzioni americane sono sicuramente il più controverso strumento di politica estera sulla scia del quale molti stati stanno aprendo e sviluppando i propri programmi di controllo indiretto della propria economica su scala globale;
ma come viene decisa la loro emanazione? Chi è il soggetto primo che emette tale decisione? Quante tipologie di sanzioni esistono? In maniera molto generale potremmo riassumere che le sanzioni possono originare sia nella sfera esecutiva sia nella sfera legislativa, quindi possono essere «accese» sia dal Presidente degli Stati Uniti che dal Congresso. Nel corso degli anni la prassi consolidata vedeva il Presidente giocare un ruolo chiave tramite l’emanazione di un ordine esecutivo che altro non contiene che i presupposti e le istruzioni per proteggere gli Stati Uniti da una possibile minaccia alla sicurezza nazionale o alla politica internazionale o ancora all’economia del paese in senso più generale. L’International Emergency Economic Powers Act (IEEPA) del 1977 conferisce al Presidente degli Stati l’Autorità per dare avvio a programmi sanzionatori in circostanze, quali ad esempio, emergenze economiche internazionali. (rif. Cap.35, sez. 1701 – U.S.C., Titolo 50); altri dispositivi di legge che consentono tali emanazioni sono: Trading with Enemy Act (1917) – che istituisce la base del programma sanzionatorio cubano (l’unico paese su cui è ancora attualmente in vigore) – ed il Foreign Narcotics Kingpin Designation Act (1999). Diverso invece è il privilegio che il Presidente può avere nell’emanare una sanzione senza dichiarare uno stato di emergenza nazionale; tale potere è garantito solo in relazione a specifici dispositivi di legge. Tuttavia il Presidente non è il solo a detenere questo potere; il Congresso degli Stati Uniti può introdurre programmi sanzionatori o, come già fatto in diversi casi, rafforzare programmi già esistenti emanati dalla Casa Bianca. Esiste infine un ultimo strumento impiegato dal Congresso ovvero il «Sense of Congress», una risoluzione non legislativa mirata all’attuazione di alcune sanzioni il cui disegno viene proposto senza che il Presidente venga direttamente coinvolto.
Quali sanzioni?
Le sanzioni che possono essere imposte dagli Stati Uniti sono di due tipi e vengono scelte sulla base del loro destinatario e del loro scopo.
Comprehensive Sanctions: hanno lo scopo di proibire ai cittadini statunitensi, alle società di capitali, società di persone fisiche e altre organizzazioni collegate agli Stati Uniti, di condurre un vasto numero di transazioni finanziarie con le persone o le entità del paese colpito, anche quando queste persone si trovano in un paese terzo (Le restrizioni imposte su Cuba su un esempio di questo tipo)
Targeted Sanctions: hanno lo scopo di imporre il congelamento dei beni, di implementare restrizioni di viaggio e restrizioni sulla ricezione di finanziamenti statunitensi da parte di persone fisiche o di organizzazioni ritenute pericolose per la sicurezza degli Stati Uniti a loro volta inserite nella Specially Designated National and Blocked Persons (SDN)
Il futuro
Mentre l’amministrazione Biden avvia la sua revisione della politica e dei programmi sanzionatori statunitensi, il governo degli Stati Uniti continuerà probabilmente a implementare secondary sanctions per rafforzare gli obiettivi dei programmi legati alle primary sanctions. Le secondary sanctions possono essere uno strumento estremamente efficace quando le sanzioni multilaterali con gli alleati non sono possibili o quando gli Stati Uniti cercano di scoraggiare il coordinamento tra stati avversari per eludere le sanzioni americane.
Le secondary sanctions continueranno probabilmente ad espandersi oltre l’Iran poiché il Congresso esprime sempre più un maggiore sostegno per la loro ampia applicazione. Tuttavia, l’efficacia futura delle secondary sanctions potrebbe essere in parte messa in discussione
dall’emergere di nuovi regolamenti di blocco o di vere contromisure legali di alto livello politico che limitano l’assoggettabilità delle aziende agli effetti extraterritoriali di sanzioni imposte da paesi terzi. Sebbene il regolamento di blocco della UE non sia stato efficace a causa di non pochi ed evidenti problemi di applicazione e attuazione, Russia e Cina hanno iniziato a sviluppare ed eleggere le proprie autorità preposte all’emanazione di atti sanzionatori superiori e all’ideazione di nuovi dispositivi legali ed economici per contrastare la coercizione degli Stati Uniti ed indebolire l’efficacia delle secondary sanctions statunitensi. Ad esempio, le nuove “Regole per contrastare l’applicazione extraterritoriale ingiustificata” di Pechino sono state create quale nuovo quadro giuridico cinese per mitigare l’impatto delle misure impositive straniere, comprese le sanzioni economiche statunitensi e le richieste, da parte di terzi, di informazioni su persone giuridiche e società cinesi.
Nel frattempo, Mosca ha redatto il proprio regolamento di blocco che propone sanzioni penali alle aziende che rispettano la legge sulle sanzioni degli Stati Uniti, sebbene non sia ancora stato emanato. (si potrebbe aprire il tema di vessatorietà indiretta che poco si presta a questo breve trattato.) Sebbene questi regolamenti di blocco giustifichino ulteriori considerazioni sulla corretta attuazione e sulle politiche di applicazione delle secondary sanctions statunitensi, l’efficacia ultima delle secondary sanctions continuerà a dipendere sempre dalla forza, dall’importanza e dall’attrattiva dell’economia globale statunitense. Finché gli Stati Uniti rimarranno una potenza economica di primo piano e l’epicentro del sistema finanziario globale, le secondary sanctions rimarranno un potentissimo strumento nella politica economica e finanziaria degli Stati Uniti.